Gli asteroidi nel Tema di Gioachino Rossini

Gli asteroidi nel Tema di Gioachino Rossini
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Giovacchino Antonio Rossini nacque a Pesaro il 29 febbraio 1792 alle ore 10.00 locali. Talento precoce, aveva nel sangue la musica essendo nato in una famiglia di artisti: il padre Giuseppe suonava il corno nella banda cittadina e nelle orchestre locali e la madre Anna Guidarini era modista ma anche una discreta cantante col suo bel civettuolo seguito di ammiratori.

Le prime lezioni, di canto, spinetta e corno le ricevette giustamente in famiglia.
Il padre di Gioachino, che aveva idee filofrancesi ed era stato un fervente sostenitore della Rivoluzione Francese, fu costretto a spostarsi in varie città per sfuggire alle mani della polizia pontificia: Ravenna, Ferrara, Lugo, Bologna. In quest’ultima città Gioachino venne iscritto al Liceo Filarmonico, studiando composizione e appassionandosi alle pagine di Haydn e Mozart.

A quattordici anni scrisse la sua prima opera, Demetrio e Polibio, che verrà però rappresentata solo nel 1812. Il suo esordio avvenne a diciotto anni, a Venezia, al Teatro San Moisè (3 novembre 1810), con l’opera La cambiale di matrimonio, ottenendo un discreto successo.
Arrivato a venti anni aveva già al suo attivo molte opere, riuscendo altresì a debuttare alla Scala di Milano con il melodramma giocoso La pietra di paragone (28 settembre 1812), su libretto di Luigi Romanelli, opera che si meritò ben cinquantatre repliche.

Il successo era evidente ma ancor più si consolidò con le opere Tancredi (6 febbraio 1813, Teatro La Fenice, Venezia) e L’Italiana in Algeri (22 maggio 1813, Teatro San Benedetto, Venezia), che consacrarono la sua fama. Il 20 febbraio 1816, al Teatro Argentina a Roma, venne rappresentato Il barbiere di Siviglia (seicento pagine di musica scritte in soli quindici giorni!), che alla prima ricevette dei fischi “prezzolati” ma che in seguito ebbe un enorme successo.

Nel frattempo era stato nominato (1815) direttore artistico e musicale del Regio Teatro San Carlo di Napoli, carica che manterrà fino al 1822; sono di quel periodo opere come Otello, Armida, Mosè in Egitto, La donna del lago.

Il 31 maggio 1817 a Milano, al Teatro alla Scala, venne rappresentato il melodramma La gazza ladra, su libretto di Giovanni Gherardini, che ebbe un travolgente successo, il pubblico acclamando Rossini come un eroe, incessantemente, tale che Rossini dirà in seguito che più che stanco per via della conduzione dell’opera s’era sentito distrutto dalla fatica di centinaia d’inchini cui il pubblico l’aveva costretto.
Il 16 marzo 1822 si sposò con il soprano spagnolo Isabella Colbran, prima donna del Teatro San Carlo di Napoli.
Il 3 febbraio 1823 vi fu la prima, al Teatro La Fenice di Venezia, del melodramma tragico Semiramide, che fu l’ultima opera da lui scritta e rappresentata in Italia perché di lì a poco si trasferì prima a Londra poi a Parigi. Nella città francese gli venne affidata la direzione del Théâtre des Italiens, dove il 19 giugno 1825 venne rappresentata l’opera Il viaggio a Reims, composta per l’incoronazione di Carlo X re di Francia.

A Parigi Rossini conduceva una vita agiata e gaudente, organizzando in casa sua brillanti soirèe musicali con banchetti sontuosi ai quali partecipavano amici, artisti, politici; frequentava negozi di lusso, non peritandosi di spendere cifre anche importanti in vestiti, profumi, tabacco e soprattutto cibo, amante com’era della buona cucina, ma anche nel gioco d’azzardo, situazione quest’ultima che lo portò poi ad essere sommerso sia dai debiti sia dagli scandali, anche se poi si riprese e si costruì un’ingente fortuna.
Il 3 agosto 1829, all’Opéra di Parigi, si tenne la prima rappresentazione del Guillaume Tell, un monumento, un lavoro di proporzioni imponenti, audace da un punto di vista armonico, ma che fu l’ultima sua opera teatrale.
Aveva trentasette anni.

Da quel momento si ritirò dalle scene, non scrivendo più partiture teatrali ma solo composizioni musicali. Il genio aveva prosciugato la sua vena?
Si è detto tutto e il contrario di tutto su questa sua decisione. Certamente influì il suo stato fisico e psichico: le cronache ci dicono che Rossini era gaudente, arguto e amante della vita, ma dietro a tutto questo si nascondeva un lato oscuro, un lato fatto di depressioni, di tristezza, di “mal di vivere”; soffriva di quello che oggi chiamiamo disturbo bipolare (sindrome maniaco-depressiva), cioè alterazioni dell’umore accompagnate da modificazioni spesso gravi delle emozioni e dei comportamenti, passando da uno stato di profonda depressione a un altro di eccitazione smodata.

Sentiva che la sua arte l’aveva abbandonato o forse era lui a essere “stanco di rincorrerla”, come rispose scherzando (ma non troppo) a chi gli domandava il perché di tale decisione: «O non lo sapete che io sono una grande infingardo? Scrivevo opere, quando le melodie venivano a cercarmi e a sedurmi; ma quando capii che toccava a me andarle a cercare, nella mia qualità di scansafatiche rinunziai al viaggio, e non volli più scrivere» [1]. Probabilmente la discesa ebbe inizio alla morte della madre, alla quale Rossini era molto legato, avvenuta alla fine di febbraio del 1827. Qualcosa lì s’incrinò per sempre nella mente del maestro.

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Ebbe anche e soprattutto problemi fisici, bronchiti, enfisema, ma in particolar modo soffriva di gonorrea, “regalo” di una prostituta. Si ammalò seriamente nel 1832, stesso anno nel quale incontrò la donna che diverrà poi sua amorevole compagna per gli anni successivi, Olympe Pélissier. Già i rapporti con la moglie si erano da tempo incrinati, e quando con Isabella dovette rientrare per qualche tempo a Bologna, alla ripartenza per Parigi lei rimase in Italia, nella casa che avevano a Castenaso nel bolognese; nel 1837 iniziarono le pratiche di divorzio, ottenendo Isabella un sussidio mensile di 150 scudi e l’uso della casa di Castenaso. La Colbran morirà nel 1845. L’anno dopo Rossini sposerà la sua Olympe, passando poi con lei anche qualche tempo in Italia (Firenze, Bologna).

Ma i problemi di salute peggioravano, l’aria dell’Italia non sembrava fargli bene, e così decisero, il 25 aprile 1855, di ritornarsene a Parigi, in ciò spinti anche dalle parole del suo medico di fiducia che gli diceva che veramente i suoi organi (milza, colon, fegato) funzionavano male, ma lo facevano perché era triste, ed era triste perché pranzava male, e pranzava male perché non componeva più, e che quindi doveva ritornare alla vita, darsi alla buona tavola, ai buoni amici, alla buona musica.

In effetti dei miglioramenti ci furono. Riprese a vivere, a invitare nuovamente gli amici nella sua casa al numero 2 di Rue de la Chaussée d’Antin e nella villa che nel 1859 aveva acquistato a Passy, nei pressi del Bois de Boulogne, dimore che vedevano ospiti come Arrigo Boito, Gustavo Dorè, Alessandro Dumas, il barone Haussmann, il principe Poniatowski, Richard Wagner, ma anche, quando passava da Parigi, Giuseppe Verdi, e questo tanto per citarne solo alcuni. Riprese la sua arguzia, la sua ironia, visibili anche nei titoli che lui dava alle sue composizioni, come Carne tritata romantica oppure Il mio preludio igienico del mattino o ancora Studio asmatico, titoli che facevano parte delle sue brevi composizioni cameristiche (per pianoforte e/o voce) da lui chiamate Péchés de vieillesse (Peccati di vecchiaia) e che rispecchiavano il suo quotidiano rapporto con la malattia.
Scrisse infatti solo musiche vocali, strumentali o sacre, ad esempio la Petite messe solennelle, che in una ironica dedica a Dio chiamò “l’ultimo peccato mortale della mia vecchiaia”.

Ma i disturbi legati alla gonorrea andavano avanti: sviluppò una stenosi uretrale che gli ostacolava il flusso dell’urina, imparando a curarsela da solo utilizzando ogni giorno un sottile catetere per liberarsi dall’occlusione. Stava giorni e giorni a letto, assalito da pensieri di morte, da forte prostrazione fisica e mentale, con una varietà di sintomi che andavano dalla perdita di peso alla diarrea cronica, dalle allucinazioni uditive ai progetti suicidari. In tutto questo l’unica luce era sua moglie Olympe, che amorevolmente l’assisteva giorno e notte.
In una lettera ad un suo vecchio amico, l’avvocato e patriota siciliano Filippo Santocanale, scriveva: «Adorabile amico mio, voi desiderate che io di mio pugno vi scriva, eccomi a obbedirvi, martirizzato come lo sono da tredici mesi di crisi nervosa che mi ha tolto sonno, palato, alterato l’udito e la vista e gettato in tal prostrazione di forze che non posso vestirmi né spogliarmi senza aiuto» [2].

Nel 1868 accusò perdita di sangue e dolore al retto, sintomi di un carcinoma del canale anale. Venne operato, ma la ferita postoperatoria si infettò a causa di un bisturi non sterile. L’infezione si propagò a tutta la metà inferiore del corpo [3]. Cominciò a delirare, la febbre a salire. Entrò in coma, e il 13 novembre 1868 alle ore 23 morì. Venne sepolto nel cimitero parigino di Père-Lachaise.
Il 3 maggio 1887 le sue ossa vennero trasportate a Firenze. Arrivarono alla stazione ferroviaria di Santa Maria Novella alle ore 13 e da lì portate e tumulate nella basilica di Santa Croce. Quando le ceneri stavano per entrare in chiesa un coro di cinquecento voci intonò l’aria del Mosè “Dal tuo stellato soglio[4].

Rossini fu certo un innovatore, un riformatore che introdusse nuovi stili orchestrali e vitalità ritmica nell’opera italiana.
Nel suo Tema natale la Parte dell’Arte (AS + Venere – Mercurio) si trova a 13° 48’ Toro, con Venere e Luna (signore del Segno quindi rappresentanti detta Parte) angolari e facenti parte di un Grande Trigono d’Aria (ma in Case di Fuoco) insieme a Marte in Bilancia (Venere).
La Parte dell’Arte è poi in tensione con Urano, pianeta che regge la congiunzione Mercurio/Plutone in Decima Casa.rossini

Tutto questo, lungi dall’essere conclusivo, ci permette se non altro di delineare una personalità artistica originale, lungimirante, provocatoria, tecnicamente acuta e perspicace, capace di espedienti tecnici orchestrali come, ad esempio, far battere ritmicamente gli archetti dei secondi violini sul leggio, trovata che inserì nella sua operina Il signor Bruschino, andata in scena al Teatro San Moisé di Venezia il 27 gennaio 1813, scritta ad appena vent’anni; oppure pensiamo al famoso “crescendo”, certo non sua invenzione ma che lui utilizzò magistralmente tanto che oggi parliamo di “crescendo rossiniano”[5].

Ma vediamo come si pongono gli asteroidi nel Tema di Rossini. Abbiamo principalmente indirizzato l’attenzione su quelli che si trovano congiunti agli angoli del cielo, a pianeti personali o a elementi importanti del Tema; ovviamente questo non vuol dire che gli altri aspetti non abbiano la loro importanza; è solo che una prima e già di per sé importante selezione interpretativa può essere fatta concentrandosi sull’aspetto di congiunzione che ci permette di avere un quadro già di per sé parlante del ruolo che questi pianetini possono assumere nella lettura di un quadro astrale.

Nel Tema di Rossini troviamo i seguenti asteroidi:

(2736) OPS
(57) MNEMOSYNE
(5) ASTRAEA
(38) LEDA

Iniziamo da (2736) OPS, che troviamo collocato a 07° 17’ Acquario, congiunto al Medio Cielo.
Il nome dato all’asteroide fa riferimento alla dea romana (ma di origini sabine) dell’abbondanza, della fortuna e della prosperità (Opi), spesso raffigurata con in braccio una cornucopia. Il nome Opi viene tradotto come “potenza, ricchezza, facoltà di mezzi”.
In ambito astrologico questo asteroide conferisce un ottimo piano mentale, intelligenza, capacità discorsive e letterarie, giovanilità, creatività, fascino, intuito, fantasia, ma anche volubilità, irruenza, individualismo, tutte qualità che Rossini non si è certo peritato nel farle proprie. Interessante anche il discorso “fortuna” o “abbondanza di mezzi”, che può essere preso come una “conferma astrale” della sua ingente fortuna economica, la maggior parte della quale lasciata in eredità alla città di Pesaro che con essa istituì il Liceo Musicale cittadino, oggi Fondazione Gioachino Rossini.


Il secondo asteroide che incontriamo è (57) MNEMOSYNE, qui a 10° 24’ Pesci, congiunto al Sole.
Il nome è ripreso da Mnemòsine (mimnesko, “ricordare”), una Titanide figlia di Urano e Gea. Amata da Zeus, giacquero insieme per nove notti di seguito e dopo un anno nacquero le nove Muse, dee del canto, della poesia, delle arti e delle scienze. Mnemòsine era la dea della memoria. Alcuni la indicano anche come protettrice dei poeti.
È un asteroide che, oltre a doti certo legate alla memoria, conferisce passione, arte, poesia, ingegno multiforme, ottime capacità mentali e dialettiche, magnetismo, intuizione, originalità, stravaganza. Il fatto di essere qui congiunto al Sole ha fatto sì che tutte queste qualità andassero tranquillamente a far parte del bagaglio caratteriale di Rossini, “Genio e ingegno musicale”, come recitava il titolo di un libro a lui dedicato dall’etnomusicologo Giulio Maria Fara [6].


Il terzo asteroide che troviamo è (5) ASTRAEA, qui a 13° 45’ Toro, in strettissima congiunzione alla Parte dell’Arte che abbiamo visto essere a 13° 48’ Toro.
Si tratta di Astrea (“stellata”), chiamata anche Dike (“giustizia”), figlia di Zeus e di Temi. Era la dea della giustizia. Durante l’Età dell’Oro, mitico periodo in cui tutti andavano d’amore e d’accordo, viveva sulla terra insieme agli uomini. Ma col tempo gli uomini divennero malvagi, a tale punto che Astrea, che vigilava sulla giustizia insieme a sua madre, si ritirò per sempre in cielo disgustata da quanto stava accadendo, giurando che non sarebbe mai più ritornata sulla terra, e si trasformò nella costellazione della Vergine.
La caratteristica astrologica di questo asteroide, insieme alla posizione che ha assunto all’interno del cielo natale di Rossini, credo possa dare interessanti indicazioni su quell’allontanamento dalle scene le cui cause hanno fatto versare i famosi fiumi d’inchiostro e dato adito alle ipotesi più disparate.

Perché diciamo questo? Perché l’allontanarsi di Astrea dalle umane creature, disgustata dalla piega che aveva preso il loro comportamento lontano mille miglia dai ferrei principi di correttezza e giustizia cui era preposta, è una delle caratteristiche che più si sono notate nei Temi di soggetti in cui l’asteroide si trovava in aspetto di congiunzione e/o opposizione ai punti angolari del Tema, a pianeti personali o a elementi importanti dello stesso, ovvero l’allontanarsi da un gruppo o addirittura dalla società per i più svariati motivi.

Tanto per dare qualche esempio di altri casi, troviamo l’asteroide (5) ASTRAEA in congiunzione al Sole nel Tema della cantante Mina, allontanatasi volontariamente dalle scene, non apparendo più né in pubblico né in televisione; oppure pensiamo a Greta Garbo, “la divina”, che a trentasei anni, all’apice del successo, si ritira dalle scene, si chiude in se stessa non volendo vedere nessuno, vivendo in due sole stanzette nel suo appartamento di sette vani a New York, e che ha l’asteroide in congiunzione al Discendente (o opposto all’Ascendente), in opposizione a Giove e in quadratura a Mercurio signore del Tema.

In Rossini l’asteroide (5) ASTRAEA si trova congiunto non a un pianeta o a un angolo del cielo ma addirittura alla Parte dell’Arte, ciò che fa pensare che la decisione dell’allontanamento dalle scene abbia qui radice profonde e che in qualche modo renda non tanto peregrina la risposta che in tono scherzoso (ma quanto?) dette a chi gli chiedeva ragione di quella sua scelta. Vien quasi da pensare che sia stata davvero l’arte ad allontanarsi da lui, che ne abbia perso il contatto, che Rossini abbia dato fondo a tutto il contenuto di quel “sacco artistico operistico” che la Natura gli aveva così generosamente consegnato.
Da considerare poi che nel 1829, anno dell’abbandono della ribalta, il Sole, per direzione simbolica, raggiungeva il Saturno natale, posizionandosi così nel punto di scarico dell’opposizione Mercurio/Urano. Se pensiamo poi che nell’ottobre del 1829, quindi pochi mesi dopo il debutto della sua ultima opera, l’asteroide (5) ASTRAEA si trovava a transitare sopra l’Urano natale quindi in opposizione a Mercurio, si può davvero pensare a una fuga attuata per non doversi cimentare con se stesso, con il se stesso non solo del Guglielmo Tell ma di tutte le altre sue opere, quasi sentisse di non potersi più superare.


L’ultimo asteroide preso in considerazione è (38) LEDA, che qui viene a trovarsi 01° 15’ Gemelli, congiunto all’Ascendente.
Il nome fa riferimento a Leda (da lada, “donna, sposa”, oppure da lethe, “oblìo”), figlia di Testio, re di Etolia, e di Euritemide. Era la sposa di Tindaro, re di Sparta. Una notte Leda si accoppiò con Zeus trasformato in cigno, e nella stessa notte anche con suo marito Tindaro. Dall’unione col marito nacquero Castore e Clitennestra, mentre dall’uovo concepito con Zeus nacquero Polluce ed Elena (quella della guerra di Troia).
Astrologicamente parlando l’asteroide (38) LEDA lo leghiamo al dubbio, ovvero a un piano mentale che ragiona, studia, filosofeggia, scruta, s’incuriosisce, sale e scende nei meandri della mente alla ricerca di risposte, mai sposando nessuna tesi, critico e meditabondo.
E però, e soprattutto, lo leghiamo al “doppio”, ma non inteso nella sua accezione negativa di falso, infido o insincero ma come dualità o dualismo: da una parte la perfetta, rassicurante e appagante figura dell’“essere ideale”, dall’altra l’imperfezione del “non essere”. Come Leda, portiamo in noi un essere mortale (Castore) e uno immortale (Polluce). Fintanto che l’arte, come lui diceva, gli regalava le note, Rossini si sentiva ed era Polluce; quando si trovò costretto a rincorrerla s’accorse di essere Castore. Possiamo sentirci autorizzati a pensare anche al disturbo bipolare da lui patito: euforia e prostrazione, gusto della vita e pensieri di morte, gioiosa ricerca della salute e del buon vivere e ipocondria.
Ovviamente non tutti coloro che si ritrovano ad avere nel proprio Tema questo asteroide in posizione importante ovvero angolare andranno incontro a tale tipo di disturbo: le sfumature e le variabili sono innumerevoli, e tuttavia ognuno sentirà di avere dentro di sé una voce che lo guida, un compito da portare a termine, una missione oserei dire. Finita tale missione ti senti come se ti avessero tolto le batterie e ti fermi, sì attonito e incredulo, sì stanco e avvilito, ma anche sazio e nel contempo soddisfatto.
E chi se non Rossini poteva dirsi compiaciuto e sereno per la sua missione portata a buon fine?


Per maggiori informazioni e approfondimenti sul significato degli asteroidi mi permetto di rimandare al mio “Dizionario degli Asteroidi”, Capone, Torino 2012 (vedi presentazione), dove sono stati monitorati 153 asteroidi ognuno spiegato dal lato astronomico, mitologico e ovviamente astrologico, così da poterli comodamente utilizzare nel proprio o altrui Tema natale.


[1] MARIO CARROZZO e CRISTINA CIMAGALLI, Storia della musica occidentale, vol. 3, Armando Editore, Roma 2009 (VII ristampa).
[2] FILIPPO FACCI, Misteri per orchestra, Mondadori, Milano 2011.
[3] Notizie mediche liberamente tratte da: JOHN O’SHEA, Musica e medicina. Profili medici di grandi compositori, E.D.T., Torino 1991.
[4] RICCARDO GANDOLFI, Onoranze fiorentine a Gioachino Rossini inaugurandosi in Santa Croce il monumento al grande maestro, Tipografia Galletti e Cocci, Firenze 1902.
[5] Tecnicamente si tratta della ripetizione, da parte dell’orchestra, di alcune battute dove gli strumenti entrano gradatamente eseguendo un crescendo dinamico, con ciò generando un effetto di accelerazione, di fretta che è preludio all’esplosione finale, accorgimento assai “produttivo” per far scatenare l’applauso. Ascoltare ad esempio il finale delle sinfonie del Guglielmo Tell, de L’italiana in Algeri oppure de Il barbiere di Siviglia.
[6] GIULIO FARA, Genio e ingegno musicale. Gioachino Rossini, Fratelli Bocca, Torino 1915.

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