Effetto Venere

Effetto Venere
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Un mio articolo pubblicato su “Linguaggio Astrale” n. 84 – Autunno 1991


Le impressioni che seguono presero corpo durante la partecipazione, nel febbraio 1991, a Prato, a un Seminario su «La repressione della bellezza» tenuto da James Hillman[1] (relazione al Seminario: «La pratica della bellezza»), Thomas Moore[2] (relazione al Seminario: «Potere della bellezza, Marte-Venere…») e Francesco Donfrancesco[3] (relazione al Seminario: «Nascita di Venere»).

Nelle «Note introduttive al Seminario» leggiamo:

Fin dal 1981, quando tenne un seminario sull’anima mundi in Palazzo Vecchio, James Hillman si è andato sempre più interessando al fondamento estetico della psicologia. La sua opera ha spaziato tra l’architettura, il design, l’urbanistica, la danza e le opere d’arte, al fine di rifondare lo studio della psicologia in un modo che fosse meno personalistico e più nei termini di una immaginazione estetica.
Quello che Hillman ha cercato di fare con la sua re-visione, non deve essere inteso come una psicologia dell’estetica, cioè una riduzione dell’arte o della bellezza a spiegazioni psicologiche, ma come il tentativo di dare inizio a un ritorno radicale della psicologia dalle profondità della persona al “volto” del mondo.
Si tratta di una psicologia il cui punto di partenza è posto nell’immagine e non nella persona umana.
In questo modo Hillman re-interpreta l’idea platonica dell’anima mundi, intendendo l’anima del mondo come l’anima esposta ai sensi delle immagini. Qui, in questo modo, possiamo ritrovare l’anima perduta dei nostri tempi; e non soltanto nella vita interiore dei sentimenti e delle memorie personali, il terreno tradizionale della psicologia del profondo e delle sue terapie. La psicologia del profondo tradizionale, conservando il suo focus nella persona individuale, conserva anche la scissione cartesiana tra anima invisibile dentro e mondo materiale morto fuori, res cogitans e res extensa. In altri termini, la tradizionale psicologia del profondo contribuisce inavvertitamente a quei disastri ecologici, politici ed estetici della nostra vita quotidiana per i quali gli individui soffrono; mentre la terapia psicologica cerca invano di curare quell’individuo la cui anima è malata per la separazione dell’anima del mondo, e per l’abbrutimento estetico che deriva da questa separazione. Perché oggi, alla fine dell’epoca cartesiana, l’anima del mondo soffre anche più dell’individuo, come testimoniano le nostre crisi ecologiche ed urbane.
Se questa diagnosi non è troppo lontana dal bersaglio, ecco allora perché l’attenzione alla bellezza diventa una mossa terapeutica primaria. Infatti, il ruolo della bellezza è quello di attrarre ogni anima verso il mondo e di ricordare all’individuo il valore insito nel mondo
.

Se questa è la strada da percorrere per «recuperare l’anima del mondo», e se «l’anima degli uomini, così come quella delle cose, desidera ardentemente la bellezza», è possibile, utilizzando lo strumento astrologia, arrivare a decifrare, sulla mappa dell’inconscio, il sentiero che ci porterà a questa strada?
Essendo il linguaggio parlato dall’astrologia lo stesso usato dall’inconscio, e i personaggi che popolano il mondo astrologico espressione di quelle componenti psichiche che formano l’individuo, la mia risposta potrebbe anche essere affermativa pur condividendo, ovviamente, i timori di molti circa le grosse difficoltà insite in una ricerca del genere visto che si dovrà poi far conto, per arrivare a capire l’anima, sul coraggio (chè di questo si tratta) occorrente per un riconoscimento dei propri dáim-ones quindi per una loro legittimazione come «dèi in noi», cioè come realtà psichiche, il che vuol dire agire sui meccanismi della nostra psiche oggettiva (o “Tu” interiore).
Ma come si sviluppa il discorso “bellezza” sullo Zodiaco?

Per saperlo non ci rimane che affidarci a quello che è il pianeta-simbolo dell’attrazione e del potere dell’anima, cioè Venere; per inciso, ma senza voler ingabbiare in rigide definizioni un qualcosa che deve essere “sentito” più che “analizzato”, possiamo tentare di vedere Luna e Venere come espressioni dell’Anima, con la Luna come “figura” dell’Anima e Venere come “potere” dell’Anima, e Sole e Marte come espressioni dell’Animus, con il Sole come “figura” dell’Animus e Marte come “potere” dell’Animus; questa ferrea schematizzazione penso però debba essere, se non superata, almeno vista come punto di partenza per arrivare ad una, diciamo così, “de-controsessualizzazione” degli aspetti legati alle due componenti psichiche, dato che anima, come dice Hillman, riguarda anche la donna, così come animus riguarda anche l’uomo.
Ma ritorniamo al nostro simbolo-guida.

Sappiamo che il nome Venere deriva dal latino Venus, antico sostantivo neutro che indicava il “filtro amoroso”; una forma simile la ritroviamo attestata anche nell’area indiana, col significato di «che ama».
Da Venus deriva “venerare”, indicante anticamente l’atteggiamento umano verso gli dèi, col significato di «piacere a…», «rendere favori a…» come anche «andare verso».
Anticamente Venere era simbolo, assieme alla Luna, della Grande Madre, e lo vediamo documentato in tutta l’Asia Occidentale e l’Asia Minore, ad iniziare da Ishtar di Babilonia che già nel terzo millennio a.C. era adorata, assieme a suo figlio Tammuz, dalla gente di ‘Obeid; o dalla fenicia Astarte o Ashtart, già menzionata a partire dal 1478 a.C., anche se il suo culto risale alla primitiva epoca semitica; per non parlare di Iside d’Egitto, adorata già nel 1700 a.C., o Cibele, dea della Terra e della Luna, adorata in Frigia prima del 900 a.C.; interessante quanto ci viene detto da al-Kindi (filosofo e scienziato musulmano, 800-873), che asserisce che nella al-Kaba della Mecca è custodita al-Uzza, uno dei tre aspetti della Triplice Grande Madre (Dea) dell’Arabia: nella pietra nera lì racchiusa c’è infatti un segno che viene chiamato «l’impronta di Afrodite», una depressione ovale significante i genitali femminili.
Venere si lega quindi a tutte quelle figure di dee che inglobavano il concetto di “madre”, di “fecondità”, come anche di “sensualità”.

Nell’area greca, e comunque nella cultura occidentale, troviamo Afrodite, dea della bellezza, della voluttà, della fecondità, nata dalla schiuma del mare (aphros, schiuma di mare): leggiamo, nella Teogonia di Esiodo, che Urano venne sorpreso nel sonno da suo figlio Crono che spietatamente lo castrò con un falcetto d’oro, afferrandogli i genitali con la mano sinistra e gettandoli, assieme al falcetto, in mare, presso Capo Drepano; i genitali di Urano «…erraron sul mare a lungo, e d’intorno bianca spuma s’alzava dai membri immortali; dentro la spuma una fanciulla crebbe… L’hanno chiamata Afrodite, uomini e dèi, perché nacque dalla spuma…».
È quindi “grazie” a Crono-Saturno e a un falcetto, simbolo della Luna, che nasce Venere, e questi partner (Saturno e Luna) li ritroveremo in ambito zodiacale.
Assai stimolante, per ciò che ci riguarda, sapere che presso i Greci si distinsero tre aspetti di questa divinità contrassegnati con i nomi di Afrodite Pandemo, Afrodite Urania, Afrodite Pontia.

Il primo aspetto (Pandemo) rappresentava l’Afrodite terrena, legata alla materia, alla sensualità, all’istintualità, e che astrologicamente si lega al domicilio notturno di Venere in Toro, quindi una Venere “lunare” e per questo connessa alla forma naturalis, quindi espressione di una bellezza spontanea, semplice, innata, che sollecita i sensi, perfino carnale e voluttuosa; la bellezza descritta dalla Venere taurina, e comunque l’espressione che questa assume nella sua componente “lunare”, può ritrovarsi, nel panorama dell’arte, nella pittura “realistico-paesana” di Ottone Rosai, o nella prima fase pittorica di Henri Rousseau, così primitiva, così legata alla realtà delle cose, pittura adulata da Alfred Jarry che vide in Rousseau la «presenza delle radici»[4].
Possiamo dire che in questa prima fase taurina troviamo un’estetica (aisthánomai, percepisco con i sensi, sento; e áisthesis, sensazione) che non ha bisogno di sovrastrutture o di trattamenti, quindi diretta nella misura in cui è naturale.

Il secondo aspetto (Urania) ci indica la dea dell’Amore Celeste, datrice di sentimenti duraturi e della benedizione del matrimonio, e che astrologicamente si lega al domicilio diurno di Venere in Bilancia.
Urania (Ur−ana) significa però «regina delle montagne» (Graves), il che ci dice come qui non alberghi il fuoco dell’amore passionale (come era in Pandemo) ma prenda sopravvento il ragionamento: là avevamo a che fare con la Sensazione, qui con il Pensiero.
Troviamo quindi una Venere “saturniana”, legata alla tecnica (téchne) quindi avvezza all’uso di strumenti e al trattamento di materiali per valorizzare questa bellezza.
Qui abbiamo l’estetica nella sua accezione di «scienza che ha per oggetto lo studio del bello e dell’arte», intravedendo anche quella teoria medievale del bello visto come misura, proporzione.
La bellezza descritta dalla Venere bilancina, e comunque l’espressione che questa assume nella sua componente “saturniana”, può ritrovarsi, in ambito artistico, nelle opere di Le Corbusier, l’architetto e urbanista francese propugnatore di un’architettura più rispondente alle esigenze della vita moderna, chiara nella forma e nelle proporzioni; così come nella musica di Claude Debussy, ricca di risonanze armoniche.
In questa seconda fase bilancina abbiamo a che fare con la conservazione della bellezza e con la sua valorizzazione, con quell’arte che è la cosmesi (dice Hillman, in maniera provocatoria, che volendo c’è più «kosmos», cioè ordine, nella parola “cosmesi” che in “cosmologia”, visto che quest’ultima tratta di un qualcosa di vuoto e freddo!).

Nel terzo aspetto (Pontia) vediamo la Patrona della navigazione e dei naviganti, l’Afrodite marina, che astrologicamente si lega immancabilmente all’esaltazione di Venere in Pesci.
Qui siamo di fronte a una bellezza non più legata alla Sensazione (Toro) o al Pensiero (Bilancia) ma al Sentimento.
Qui abbiamo a che fare con nuovi campi di energia: d’altronde siamo alla presenza di un’esaltazione di Venere, quindi operiamo in un ambito che esula sia dal “piacere” taurino sia dall’“estetismo” bilancino; ci troviamo infatti nel mondo del sentimento e dell’emozione (del resto secondo la teoria cortico-diencefalica di W. B. Cannon e P. Bard, non è l’ipotalamo, governato dal segno dei Pesci, la sede degli schemi dinamici dell’emozione?), alla presenza di una Venere “nettuniana”, legata a quell’espressione soggettiva di grande intensità che è appunto l’emozione, a quel «ah!» che Hillman collega all’incontro tra Bellezza e Anima, quando, dice, si muove la gazzella che dorme in noi (Hillman usa la figura della gazzella come simbolo di quell’emozione – Anima – che scaturisce quando si attiva il chakra Anâhata, quello del cuore; per inciso, nel mondo semita la gazzella era simbolo di bellezza; secondo Origene, poi, la gazzella trae il suo nome da una parola greca che significa «vedere»).

La bellezza descritta dalla Venere pescina, e comunque l’espressione che questa assume nella sua componente “nettuniana”, può ritrovarsi, nel campo dell’arte, nella pittura «plen air» di un Claude Monet, o nell’emozione lirica, tradotta in plasmanti pennellate, di un Emilio Gola, così come nella poesia di un Charles Baudelaire le cui parole possono benissimo indicarci la strada per avvicinarci alla comprensione di questo tipo di bellezza, che «consiste non nella scelta del soggetto né nella verità dell’illustrazione, ma nella maniera di sentire e nella capacità di esprimere tale sentimento».

Così, se nel Toro avevamo un concetto di bellezza legato al «piacere dato dalla forma», e nella Bilancia alla «valutazione di questa forma-bellezza in rapporto alle esigenze sociali», in Pesci questo concetto pare legarsi a quell’afflato dato da una percezione extra-sensoriale, “sentendo” l’immagine che procura Bellezza e vedendo questo come una manifestazione dell’anima, facendoci forse qui parlare di un’«estetica trascendentale» che si lega al «fenomeno» (tó pháinómenon, pháinesthai, manifestarsi, apparire), a ciò che si manifesta direttamente e che fa esplodere quel «ah!» come segnale che ci avverte che l’anima ha ritrovato la sua Bellezza.

Allora, se Venere è la dea della Bellezza, e se essa nasce dall’acqua del mare, è solo quando arriviamo all’esaltazione pescina che questa dea si manifesta in tutta la sua completezza, e se i segni di Acqua sono espressione dell’Anima, allora è solo qui che può avvenire l’incontro, la fusione, tra Bellezza e Anima, è quindi in questa ultima fase pescina che l’anima dell’Uomo diventa «la scintilla consustanziale dell’anima mundi».
E se i segni di Acqua, come detto, rappresentano l’Anima, il segno dei Pesci simboleggerà l’ultima fase dell’espressione dell’Anima, cioè quella più vicina alla coniunctio con lo Spirito, all’unione tra Sentimento e Intuizione[5]. Qui la bellezza produce gioia vera, entusiasmo, estasi (ekstasis, uscire fuori di sé).

Abbiamo detto che nei tre aspetti di Venere si raffigurano quelli che sono i diversi modi di approccio alla bellezza: questi “modi” possono essere decifrati anche dai simboli grafici di Luna, Saturno e Nettuno.

La linea curva, simbolo della Luna, ci parla di fecondità, di vita, quindi di vita che prende forma; la croce, che troviamo nei simboli grafici di Saturno e Nettuno, rappresenta il mondo, quindi un qualcosa di già strutturato: è l’impalcatura su cui la forma si trasforma.
Nel simbolo lunare (cioè la mezzaluna) abbiamo, come detto, la forma, quindi avremo una percezione stimolata esclusivamente dall’oggetto-in-sé, diretta, spontanea, primaria, semplice.
Nel simbolo saturniano abbiamo questa mezzaluna sotto la croce, a significare che la materia si sta strutturando secondo certi schemi o regole; prende forma che a sua volta si trasforma, il tutto seguendo strade apparentemente libere ma sostanzialmente legate a rigide regole sociali e culturali; la percezione che qui avremo sarà di tipo secondario, cioè “associazionistico”.
Nel simbolo nettuniano, invece, la mezzaluna si è spostata sopra la croce, a significare come la materia, dopo che si è “formata” e poi “trasformata”, si stia ora “de-strutturizzando”, smettendo quindi di essere «copia di un’impressione» (Hume) per diventare vera «esperienza psichica». La percezione che qui avremo sarà allora di tipo “sensibile”, o meglio, “eterno”.
Prendendo a prestito le figure dell’Anima esposte da Jung, possiamo dire che qui, luogo di esaltazione venusia, non siamo né alla presenza di Eva (Toro), né a quella di Elena (Bilancia), ma siamo di fronte a Maria e in procinto di incontrarci con Sofia.

Quanto finora detto, però, non vuole certo inchiodare Venere all’Anima o l’Anima a Venere come a prima vista potrebbe sembrare; ed altri sbaglierebbero se pensassero che Venere sia stata qui trattata esclusivamente in quanto «eros»; semmai è stata il vederla solo come eros che ha portato a una confusione di ruoli tra Anima, Venere ed erotismo (il che, ovviamente, non vuol dire che l’Anima non sia amore, anzi). Venere (anche come Eros) è solo una parte di Anima, così come Marte (anche come Eros; d’altronde non era questi figlio di Afrodite e Ares?) è solo una parte di Animus.

Nel concludere, possiamo dire che il breve viaggio qui intrapreso ci ha, una volta di più, messi di fronte al fatto che indispensabile, per recuperare l’anima, è andare a cercarla dov’è: dentro di noi, direte; certo, ma anche «fuori di noi», perché fino a quando non riusciremo a cogliere quella che è l’anima del mondo (della natura, ma anche, dico io, di tutto ciò che ci circonda, foss’anche il più umile degli oggetti che distrattamente usiamo giacché solo per il fatto di essere “stato fatto” vuol dire che ha «anima») mai e poi mai arriveremo a far incontrare «noi» e gli »dèi».


[1] James Hillman (Atlantic City, 1926-Thompson, 2011). Filosofo, psicologo e psicoterapeuta junghiano. Ha diretto lo Jung Institut di Zurigo e fondato il Dallas Institute of Humanities and Culture.
[2] Thomas Moore (Detroit, 1940). Psicoterapeuta, scrittore e studioso del Rinascimento. Ha fondato l’Institute for the Study of Imagination del Massachusetts.
[3] Francesco Donfrancesco (Roma, 1940). Medico, psicologo analista, direttore della rivista fiorentina «Anima».
[4] Ovviamente questi sono solo degli esempi utilizzati per capire il “tipo” di manifestazione venusiana, e non vogliono certo creare ulteriori incasellamenti né degli artisti né tantomeno delle loro opere.
[5] Questi concetti sono poi stati da me nel tempo elaborati andando a far parte del mio libro: “La freccia del Sagittario”.

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