28 - 10
2017
Oggi, 400 anni fa, il 28 ottobre 1617, moriva la letterata, filosofa e astrologa Margherita Sarrocchi. Era nata a Gragnano (Napoli) nel 1560 in una famiglia dell’alta borghesia napoletana.
Rimasta orfana in giovane età venne allevata dal cardinale Guglielmo Sirleto (1514-1585), amico fraterno del padre Giovanni, che la istruì e la educò rimanendo meravigliato della viva intelligenza, della curiosità e delle alte capacità deduttive che la giovane esprimeva.
Quando questi venne nominato bibliotecario apostolico e si spostò a Roma, la portò con sé affidandola al monastero di Santa Cecilia in Trastevere. Lì continuo la sua educazione, studiando e apprendendo arti e mestieri tipicamente femminili.
Ma il cardinale, conoscendone l’indole, la volle istruire anche nelle materie scientifiche e umanistiche, così Margherita studiò aritmetica, astronomia, geometria, matematica, musica.
Questi studi le risultavano facili, apprendendo con rapidità materie certo non usuali all’epoca per una donna: sapeva e dissertava tranquillamente di retorica, geometria, filosofia, teologia, logica e astrologia, senza contare le lingue come greco e latino che maneggiava con capacità e sicurezza.
Fra i suoi maestri ci fu il famoso matematico napoletano Luca Valerio (1552-1618) che poi in tarda età diverrà il suo compagno.
All’età di quindici anni pubblicò il suo primo componimento poetico, entrando a far parte della corte dell’ammiraglio Marcantonio Colonna e di sua moglie Felice Orsini.
A ventotto anni circa si sposò con certo Carlo Biraghi (o Birago), letterato e accademico dei Raffrontati di Palermo. Fu amica di Beatrice Cenci, che quando verrà condannata a morte affiderà suo figlio proprio a Margherita[1].
Autrice di poesie, poemi e sonetti, tradusse dal greco il poemetto Le vicende di Ero e Leandro dello scrittore greco Museo Grammatico (V-VI secolo). Scrisse anche, in latino, un’opera filosofica sulla predestinazione, tutti lavori che purtroppo non ci sono pervenuti.
Entrata nel circuito della Roma intellettuale, ammirata e amata da tutti, la sua casa divenne un cenacolo di artisti e di uomini di scienza, riunendosi nel suo salotto personalità come, ad esempio, lo scrittore e poeta napoletano Giovan Battista Marino (1569-1625) col quale poi ebbe anche una tumultuosa storia d’amore che quando finì li trasformò in acerrimi nemici; e soprattutto Galileo Galilei che frequentò il suo salotto varie volte quando si trovava a Roma nel periodo dal 29 marzo al 4 giugno 1611.
Fece parte, unica donna ammessa, dell’Accademia degli Umoristi[2].
La sua opera più conosciuta, e quella che ci è rimasta, è il poema epico in ventitré canti La Scanderbeide, che narra l’epopea del principe e condottiero albanese Giorgio Castriota Scanderberg (1405-1468) e della sua guerra contro il sultano turco Murad II per la conquista dell’Albania. Il poema, uscito una prima volta in versione ridotta a Roma nel 1606 per i tipi di Lepido Facij e poi completo ma postumo nel 1623, sempre a Roma, per i tipi di Andrea Fei[3], risente molto della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso con il quale peraltro la Sarrocchi fu in corrispondenza, i due scambiandosi rime e sonetti.
Ma soprattutto fu in corrispondenza con Galileo Galilei del quale fu amica e strenua sostenitrice delle sue idee e scoperte.
Da una delle lettere a lui inviate, in data 10 settembre 1611, veniamo a sapere che certi frati di un convento di Perugia si erano rivolti a lei per avere l’interpretazione di alcuni Temi natali; non solo: le chiesero anche, su richiesta dello Studio di Perugia, un parere sui nuovi pianetini scoperti da Galileo intorno a Giove, ciò che se non altro dimostra l’alta considerazione nella quale era tenuta; lei magnificò questa scoperta ma i frati si mostrarono scettici se non critici su quelle scoperte, al che lei rispose indignata difendendo gli studi dello scienziato pisano.
Infatti Margherita era molto entusiasta della scoperta dei quattro satelliti di Giove anche e soprattutto perché questa novità poteva poi diventare utile per l’astrologia visto che spesso Giove «si è mostrato negli effetti da sè medesimo molto differente», come si legge in una lettera di Luca Valerio a Galileo:
[…] Rallegromi moltissimo con V. S. et della sua racquistata sanità et delle sue mirabili osservationi fatte intorno a Venere, com’ancor fa la S.ra Margherita, rendendole li saluti duplicati, e dicendole che i compagni di Giove, scoperti da V. S., apporteranno grand’utile alli giudicii astrologici, poi ch’è stato osservato molte volte che tal pianeta, con li medesimi aspetti o congiuntioni et altre circostanze, si è mostrato negli effetti da sè medesimo molto differente, non sapendosi la causa della varietà non per altro che per la ignoranza di quest’altri lumi, come si dee credere […][4].
Purtroppo di Margherita Sarrocchi non ci è rimasto nessun lavoro astrologico né le molte geniture da lei eseguite.
Gli ultimi anni della sua vita, rimasta vedova (1613), li trascorse con Luca Valerio, lui abitando presso di lei servendola amorevolmente.
Come detto morì a Roma il 28 ottobre 1617 e venne sepolta nella basilica di Santa Maria sopra Minerva.
E però leggiamo nei documenti che morì «Die 29° Mensis Octobris […]. Expiravit hora noctis antegressae secunda»[5]; il mistero si risolve sapendo che all’epoca il nuovo giorno iniziava dal tramonto: se Margherita morì prima che entrasse la seconda ora della notte, posto che il tramonto in quel periodo avveniva intorno alle ore 16.55 locali, possiamo dire che morì intorno alle 17.50, quindi era ancora il 28.
[1] Beatrice Cenci (1577-1599) era una giovane nobildonna romana giustiziata insieme alla matrigna e al fratello con l’accusa di parricidio. La sua vicenda negli anni e nei secoli successivi armò la mano di pittori, letterati e musicisti ed ebbe anche varie trasposizioni cinematografiche. Il figlio affidato a Margherita dovrebbe essere quello che Beatrice ebbe col suo amante Olimpo Calvetti, legame che poi sarà all’origine di tutta la vicenda delittuosa.⇑
[2] L’Accademia degli Umoristi venne fondata a Roma il 7 febbraio 1600 dal nobile romano Paolo Mancini, capitano delle guardie a cavallo del cardinale Aldobrandini, da sua moglie Vittoria Capocci, nobile romana, e da Gaspare Salviani. Lo stemma era una nuvola dalla quale cade della pioggia sul mare con il motto Redit Agmine Dulci. Vi si tenevano rappresentazioni teatrali e si declamavano versi. Si estinse nei primi decenni del Settecento.⇑
[3] L’edizione del 1623 è presente nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (collocazione: MAGL.5.5.173). L’edizione del 1606, di tredici canti, è presente nella Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli (collocazione: V.F. XXVI* D 45).⇑
[4] Lettera di Luca Valerio a Galileo Galilei in Firenze scritta da Roma il 28 gennaio 1611, in: ANTONIO FAVARO (a cura di), Le Opere di Galileo Galilei. Edizione nazionale sotto gli auspici di Sua Maestà il Re d’Italia, Volume XI, Carteggio anno 1611-1613, n. 469, p. 37.⇑
[5] PIER LUIGI GALLETTI, Necrologio Romano dal MDC al MDCLXIX, Biblioteca Apostolica Vaticana, Codice Vaticano Latino 7875, f. 201r, citato in: FRANCESCA PINTUS, Sul poema «La Scanderbeide» di Margherita Sarrocchi. Note di lettura (Tesi di Laurea), Università degli Studi di Sassari, Corso di Laurea in Lettere Moderne, Relatore Prof. Aldo Maria Morace, Anno Accademico 2010/2011, p. 9 (in: http://issuu.com/110elode/docs/francesca.pintus).⇑
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