01 - 10
2019
Ricorrono oggi i 520 anni dalla morte del filosofo, astrologo e umanista Marsilio Ficino, considerato il massimo esponente dell’Umanesimo fiorentino, avvenuta a Firenze nella sua villa di Careggi il 1° ottobre 1499. Era nato a Figline Valdarno il 19 ottobre 1433[1].
Nel 1448 fu studente a Pisa e poi dal 1452 allievo presso lo Studio di Firenze. Nel 1462 si laureò in Medicina come voleva suo padre, Dietifeci, rinomato medico dell’Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze. Ma Marsilio era più orientato verso gli studi letterari, verso la filosofia, in special modo quella platonica, inclinazione che s’era espressa varie volte già dal periodo studentesco e ancor più nel 1456 con la stesura dell’opera sua più impegnativa di quel giovanile e intenso momento, le “Institutiones ad platonicam disciplinam” dedicate a (e scritte su esortazione di) Cristoforo Landino, il grande umanista e filosofo fiorentino. Ma Landino, pur apprezzandone lo sforzo, consigliò a Ficino di non pubblicare il testo ma di darsi da fare nell’imparare il greco così da poter leggere le opere platoniche nell’originale.
Si creò in tal senso una solida erudizione quindi un nome e una dignità tale che Cosimo de’ Medici il Vecchio vide in lui la persona giusta che poteva far risorgere a Firenze la filosofia platonica, l’interesse sulla quale aveva già gettato radici nel 1439 grazie all’arrivo a Firenze dei dotti bizantini in occasione del Concilio che lì si tenne per la riunificazione delle Chiese d’Oriente e d’Occidente.
Ben presto intorno a Ficino si aggregò tutta una serie di studiosi e letterati che andarono a formare il nucleo operativo di quella che fu, sul modello platonico, l’Accademia Fiorentina o Accademia neoplatonica[2].
Vestì anche l’abito clericale: il 5 gennaio 1472 (stile fiorentino, quindi 1473) venne eletto pievano della chiesa di San Bartolomeo a Pomino, nella diocesi di Fiesole, oggi comune di Rufina vicino a Pontassieve. Il 18 settembre 1473 venne ordinato diacono. Il 18 dicembre consacrato sacerdote. Il 6 gennaio 1473 (stile fiorentino, quindi 1574) divenne rettore della chiesa di San Cristofano a Novoli, oggi quartiere fiorentino. Nel 1487 viene nominato canonico del Duomo di Firenze.
Ficino ebbe un rapporto a prima vista contraddittorio nei confronti dell’astrologia, ma a ben vedere altro non era che il normale bisogno di capire e capirsi, sfrondando l’albero astrologico dalle tante cianfrusaglie messegli a mo’ d’addobbo che ne impedivano (e tutt’ora l’impediscono) la vera visuale, alla ricerca di quell’unione, di quel matrimonio (che s’ha da fare) fra astrologia e filosofia naturale:
I corpi celesti non sono da cercare in alcun luogo esterno a noi: il cielo, infatti, è tutto dentro di noi, che abbiamo in noi il vigore del fuoco, e origine celeste. Prima di tutto la Luna: che cos’altro significa in noi, se non il continuo movimento del corpo e dell’anima? Marte, poi, indica la prontezza; Saturno, invece, la lentezza. Il Sole significa Dio, Giove la legge, Mercurio la ragione, Venere l’umanità[3].
Ficino tradusse in latino il corpus dei dialoghi di Platone, le “Enneadi” di Plotino, i lavori di Giamblico, Porfirio, Proclo e tanti altri. Tradusse anche, nel 1463, ma pubblicato solo nel 1471, il “Corpus Hermeticum”, opera attribuita a Ermete Trismegisto e trovata in Macedonia sotto forma di quattordici trattati dal monaco Leonardo da Pistoia (n. 1428), opera a cui Ficino dette il titolo di “Pimander“, in realtà titolo del primo trattato[4].
Oltre ad aver tradotto molti classici, Ficino fu autore di numerose opere, tra le quali possiamo citare:
“De voluptate”, scritto nel dicembre 1457, dedicato al politico e diplomatico fiorentino Antonio Canigiani, trattatello giovanile nel quale passa in rassegna le diverse opinioni degli antichi sul piacere, sulla separazione fra il gaudium della mente razionale e la voluptas dei sensi materiali, idee che s’erano sviluppate in Ficino proprio dai dialoghi avuti l’estate prima con Canigiani stesso, ospite del padre di quest’ultimo nella villa Il Palagio, a Campoli, in località Mercatale nei pressi di San Casciano Val di Pesa.
“Di Dio et anima”, del 1458, inizialmente testo di una lettera dal titolo “Opinioni dephilosophi di dio e delanima”, indirizzata l’anno prima all’amico Francesco Capponi, noto banchiere e politico fiorentino, poi edita con il titolo di “Compendium de opinionibus philosophorum de Deo et anima”[5], piccolo testo dove disquisisce sulle opinioni di filosofi come Ermete, Giamblico, Platone, Plotino, Proclo, su Dio e sull’anima, cercando una conciliazione fra platonismo e cristianesimo.
“Disputatio contra iudicium astrologorum” (1477), opera mai divulgata interamente[6], dove dà conto dei vari giudizi critici (anche personali) nei confronti dell’astrologia giudiziaria; così nel Proemio:
Quanti affermano che ogni singolo evento accade necessariamente, per effetto delle stelle, si avvolgono, e avvolgono la massa, in tre errori rovinosi. A Dio sommo e onnipotente sottraggono, per quanto è in loro, la provvidenza e l’assoluta sovranità sull’universo. Agli angeli tolgono la giustizia: a loro giudizio, infatti, essi fanno muovere i corpi celesti in modo tale che da quei movimenti derivino tutti i misfatti degli uomini; ai buoni tocchi il male, ai cattivi il bene. Agli uomini, che secondo loro sono sbattuti qua e là, non diversamente dagli animali, strappano la libertà, e li privano della quiete. Se promettono qualcosa di buono – ciò che di solito fanno raramente, e in forma assai oscura –, gli astrologi lo avviluppano fra grandissime difficoltà. Di conseguenza, non ci giova affatto che talvolta, seppur assai di rado, e con grandissima fatica, ci preannuncino un bene futuro, facendoci tornare a casa vanitosi, superbi e negligenti. Se per caso qualcosa andrà nel senso delle loro promesse, il piacere a lungo atteso sarà meno gradito. Se invece minacciano qualche male, ciò che avviene molto più spesso, noi anticipiamo eventi che accadranno molto più tardi, o non accadranno affatto; infelici, ce li raffiguriamo in anticipo, e soffriamo nel raffigurarceli. Alla fine, se il fato è inevitabile, prevederlo e predirlo è inutile; se invece lo si può in qualche misura evitare, la difesa, che gli astrologi fanno della necessità del fato, è falsa[7].
Queste critiche parrebbero più indirizzate all’uso che gli uomini stavano facendo dell’astrologia che non all’astrologia in sé, specie se consideriamo come essa verrà poi utilizzata da Ficino stesso in altre sue opere, in special modo legandola alla medicina, alla salute del corpo e dell’anima.
L’astrologia quindi come “chiave di lettura” della natura, dei suoi misteri, delle sue regole, non come pretesa di leggere “sicuramente” il futuro: un po’ come una stampella che aiuta l’uomo zoppo a camminare meglio, ma non gli ridà certo la gamba, così l’astrologia aiuta l’uomo a meglio comprendere il creato, la natura e se stesso, ma non per questo lo rende certo del suo futuro[8].
Abbiamo poi la poderosa “Theologia Platonica De Immortalitate Animorum”[9], stampata nel 1482 a Firenze per i tipi di Antonio di Bartolommeo Miscomini e dedicata a Lorenzo de’ Medici.
In quest’opera, composta da diciotto libri, Ficino tratta della natura teologica dell’opera di Platone, discute dell’immortalità dell’anima e comunque dell’anima in sé, tentando una conciliazione tra la rivelazione cristiana e la sapienza degli antichi, ciò che dovrebbe andare a creare, secondo i suoi intendimenti, una docta religio atta alla formazione dell’uomo nuovo, una sintesi tra platonismo e cristianesimo.
Il “De vita”, scritto fra il 1480 e il 1489, opera in tre libri – il “De cura valitudinis eorum qui incumbunt studio litterarum”, dedicato a Giorgio Antonio Vespucci, zio di Amerigo, e al letterato Giovanni Battista Buoninsegni; il “De vita longa”, dedicato al mercante e mecenate Filippo Valori; il “De vita coelitus comparanda”, dedicato a Mattia Corvino re d’Ungheria – stampata a Firenze il 3 dicembre 1489 per i tipi di Antonio di Bartolommeo Miscomini.
Quest’opera, nel suo complesso e inizialmente, era dedicata a re Mattia Corvino ma la sua morte (4 aprile 1490) fece cambiare destinatario che divenne così Lorenzo il Magnifico, ciò che portò Ficino a riscrivere frettolosamente la dedica e a cambiare gli stemmi regali già presenti sul frontespizio con lo stemma mediceo[10].
L’opera, ricchissima di elementi magici e astrologici derivati da Plotino, da Porfirio, dal “Picatrix”[11] e nella quale l’astrologia, a differenza di quanto esposto nella Disputatio, viene riscattata in special modo perché abbinata alla medicina, può essere definita un trattato medico-dietetico-astrologico scritto per quei letterati, per quei filosofi che, in quanto figli di Saturno (come Ficino stesso), sono o possono essere afflitti dalla malinconia, un Saturno che però, contrariamente al pensiero comune, non era da Ficino visto come elemento negativo, aiutando anzi l’uomo a innalzare la propria mente:
Come infatti il Sole è nemico degli animali notturni, mentre è amico di quelli diurni, così Saturno è avverso agli uomini che conducono apertamente una vita volgare o, pur evitando la consuetudine col volgo, continuano tuttavia ad avere sentimenti volgari. Saturno lasciò infatti a Giove una vita in società, mentre rivendicò per sé una vita separata e divina. È poi amico delle menti degli uomini che, per quanto è loro possibile, sono già veramente separate, in quanto sono in un certo modo a lui congiunte. Infatti proprio Saturno (per parlare platonicamente) svolge le funzioni di Giove nei confronti degli spiriti che abitano le regioni più alte dell’aria, come Giove è un padre premuroso per gli uomini che conducono la vita in società[12].
Abbiamo poi il “De sole”[13], stampato insieme al “De lumine” a Firenze il 31 gennaio 1493 per i tipi di Antonio Miscomini e dedicato a Piero di Lorenzo de’ Medici.
L’opera tratta della luce come manifestazione del bene, del divino, come si evince dai titoli di alcuni capitoli, per esempio, In che modo la luce del Sole sia simile al bene in sé, ossia a Dio (cap.II), oppure Sole statua di Dio. Similitudine fra Sole e Dio (cap. IX), e dove Ficino dà tutta una serie di informazioni astrologiche legate al Sole.
Come detto morì il 1° ottobre 1499. Venne sepolto all’interno di Santa Maria del Fiore dove, nel 1521, un busto dello scultore fiesolano Andrea di Piero Ferrucci (1465-1526) lo celebra con questa iscrizione tuttora presente:
EN HOSPES HIC EST MARSILIVS SOPHIAE PATER
PLATONICVM QVI DOGMA CVLPA TEMPORVM
SITV OBRVTVM ILLVSTRANS ET ATTICVM DECVS
SERVANS LATIO DEDIT FORES PRIMVS SACRAS
DIVINAE APERIENS MENTIS ACTVS NVMINE
VIXIT BEATVS ANTE COSMI MVNERE
LAVRIQ MEDICIS NVNC REVIXIT PVBLICO
• S • P • Q • F • AN • M • D • XXI •
Maggiori info nel mio “Astrologia Italica”, ed. Pagnini, Firenze 2016
[1] Ma era Scorpione, corrispondendo la data al nostro 28 ottobre. Nacque alle ore 13.50 circa, con Saturno congiunto all’Ascendente Acquario, anzi, come lui dice in una lettera indirizzata al canonico tedesco Martin Prenninger, che gli chiedeva informazioni sulla sua data natale: «Il mio giorno natale fu il 19 ottobre 1433. Quanto all’ora, sebbene non sia stata annotata da mio padre Ficino, medico, dalle sue parole e da quelle di mia madre ho dedotto essere stata la ventunesima [corrispondente alle ore 13.50 locali, N.d.A]; e penso che in quel momento fosse ascesa la metà circa dell’Acquario [infatti l’Ascendente è a 15° 24’ Acquario, N.d.A], insieme ai Pesci. Saturno in Acquario occupava l’angolo orientale, mentre Marte, sempre in Acquario [ma in realtà ancora in Capricorno a 29° 47’, N.d.A], era in dodicesima; il Sole era in Scorpione, Mercurio in nona casa, la Luna in Capricorno, Giove in Leone in settima; nella stessa casa Venere in Vergine; il punto di fortuna in Ariete [infatti è a 23° 25’ Ariete, N.d.A]» (M. FICINO,Scritti sull’astrologia, a cura di Ornella Pompeo Faracovi, BUR, Milano 1999, p. 241).⇑
[2] L’Accademia Neoplatonica venne fondata a Firenze nel 1459 da Marsilio Ficino su incarico di Cosimo de’ Medici il Vecchio (1389-1464). Le riunioni si svolgevano alla villa Medicea di Careggi. Fecero parte dell’Accademia numerose personalità fra le quali Leon Battista Alberti, Cristoforo Landino, Pico della Mirandola, Poliziano, oltre naturalmente ai membri di casa Medici, come Lorenzo il Magnifico. Alla caduta dei Medici (1498) le riunioni si svolsero presso gli Orti Oricellari all’interno della villa di Bernardo Rucellai. Venne sciolta nel 1523 per motivazioni politiche, avendo alcuni suoi membri, secondo l’accusa, partecipato alla congiura (1522) messa in atto da ambienti repubblicani contro il cardinale Giulio di Giuliano de’ Medici, futuro papa Clemente VII.⇑
[3] Da una lettera di Marsilio Ficino a Lorenzo de’ Medici, il giovane (M. FICINO, Scritti sull’astrologia, Milano 1999, p. 230). Alcuni autori hanno calcato molto la mano sulla supposta contraddittorietà di Ficino nei confronti dell’astrologia: certamente chi ha espresso quei giudizi non è astrologo; l’atteggiamento di Ficino, infatti, è quanto di più vicino c’è alla figura dell’astrologo, che se veramente conosce e sa usare la sua materia la vive proprio in questo modo, amandola e discutendola, confrontandosi con essa, tomentandosi anche, come si tormenta l’uomo evoluto che sa di essere una piccola cosa al confronto del mistero della natura, del creato. In tal senso Ficino può essere visto come il precursore di quella che oggi chiamiamo astrologia umanistica.⇑
[4] Nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (collocazione: Plut.83.14) abbiamo: Mercurii Trismegisti Pimander, Marsilio Ficino interprete. Sempre alla Laurenziana (collocazione: Plut.21.21) abbiamo: Mercurii Trismegisti Liber de potestate, & sapientia Dei e Graeco in Latinum traductus a Marsilio Ficino Florentino ad Cosmus Medicem Patriae Patrem. Come compenso per questo suo lavoro Cosimo I regalò a Ficino la villa di Careggi, in data 18 aprile 1463. Il primo volgarizzamento di quest’opera venne pubblicato a Firenze nel 1545 a cura di Tommaso Benci per i tipi Lorenzo Torrentino: Il Pimandro di Mercurio Trismegisto tradotto da Tommaso Benci in lingua fiorentina.⇑
[5] Tractatus de Deo et anima vulgaris, in: PAUL OSKAR KRISTELLER, Supplementum ficinianum, Olschki, Firenze 1937, II, pp. 128-147. Nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (collocazione: Plut.27.09) abbiamo: Marsilio Ficino Fiorentino di Dio, & Anima ad Franciesco Capponi.⇑
[6] È rimasta inedita fino al 1937, quando uscì a cura di P. O. Kristeller, cit., pp. 11-76. La traduzione in italiano è ora in: M. FICINO, Scritti sull’astrologia, a cura di Ornella Pompeo Faracovi, BUR, Milano 1999, pp. 49-174.⇑
[7] M. FICINO, Scritti sull’astrologia, Milano 1999, pp. 49-50.⇑
[8]Questa riflessione è nostra, non di Ficino, ma piace pensare che avrebbe potuto farla anche sua.⇑
[9] L’opera è presente nella Bayerische Staatsbibliothek München (collocazione: 2 Inc.c.a. 1204). A fine opera leggiamo:«Impressum Florentie Per Antonium Miscominum Anno Salutis M.CCCCLXXXII. VII. Idus Novembris».⇑
[10] L’esemplare è presente nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (collocazione: Plut.73.39).⇑
[11] Si tratta di un’opera di magia ermetica, di talismanologia astrologica, il cui titolo originale è Gāyat-al-hakīm, ovvero Il fine del Saggio. Venne scritta tra il 1047 e il 1051 dall’astronomo e alchimista arabo, nato a Madrid, Abū l-Qāsim Maslama b. Ahmad al-Majriti, tradotta poi in spagnolo nel 1256. La traduzione latina ebbe un’enorme diffusione nel Rinascimento. ⇑
[12] M. FICINO, Sulla vita, a cura di Alessandra Tarabochia Canavero, Rusconi, Milano 1995, III, 22, p. 276.⇑
[13] La traduzione in italiano del De sole è ora in: M. FICINO, Scritti sull’astrologia, Milano 1999, pp. 185-217.⇑
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