11 - 05
2021
Sappiamo che Galileo Galilei si interessava anche di astrologia e molto spesso era chiamato a interpretare Temi natali.
Vuoi però per mancanza di tempo vuoi più verosimilmente per una certa ritrosia a occuparsi di natività altrui, spesso lo scienziato pisano rifilava questi lavori a un suo amico astrologo, il medico, filosofo e poeta veronese Ottavio Brenzoni (1576-1630).
Ovviamente Brenzoni era lusingato di poter aiutare in qualche modo il grande matematico il quale poi discuteva con lui anche di questioni astronomiche (e fu tra i primi a ricevere il Sidereus Nuncius fresco di stampa).
Non sempre però i pronostici sui Temi natali che Galileo gli indirizzava riuscivano felicemente: il segretario di Stato di Ferdinando I de’ Medici, Curzio Picchèna, scrisse a Galileo in data 18 dicembre 1608 facendogli sapere che le previsioni a suo tempo ricevute e che erano state elaborate da Brenzoni sul Tema natale di sua figlia Caterina appena nata si erano rivelate sbagliate; ma il funzionario invece di criticare l’operato dell’astrologo (poteva un astrologo indicato dal grande Galilei sbagliare?) si scusava dicendo che l’errata previsione forse dipendeva dall’ora di nascita che gli aveva comunicato che verosimilmente non era tanto giusta visto che la stessa era stata data con ritardo perché la piccola sembrava nata morta, ciò che aveva creato una situazione tale per cui nessuno era stato attento all’orario natale:
Molto Ill.re S.r mio Oss.mo
Quando V. S. era sul partir di qua, io le dissi che poi per lettera havrei replicato alcune cose a quel che scrisse a V. S. il suo amico di Verona [Brenzoni, n.d.a.] intorno alla nascita della mia figliuolina, perchè da questo io son venuto in dubio che forse l’hora non sia giusta.
Prima egli dice, che quest’anno corrente ella correva pericolo della vita, massimamente nel mese di Settembre: et a questo io dico, che la detta figliuola non ha mai havuto male di considerazione; et già si trova presso alla fine dell’undecimo mese. Poi dice ch’ella havrà roba da’ suoi parenti ecclesiastici: et io rispondo che non mi resta parente alcuno, donde a lei possa venir roba nè anche di qui a cent’anni, nè dal canto mio nè di mia moglie. Stante adunque il dubio che l’hora non sia giusta, riceverei per favore da V. S. che il suo amico vedesse se si può aggiustare dall’istesso tempo della nascita, perchè intendo che la figliuola nacque in modo, che per mezz’hora o più fu tenuta per morta o che in breve spazio dovesse morire, perchè era nera et non faceva quasi movimento alcuno nè segno di vita, fintanto che, lavatala nella malvagia calda, ella rinvenne: et questo pericolo avvenne poichè nacque vestita et col tralcio avvolto intorno al collo, che quasi l’haveva soffocata. Da tale accidente potette forse avvenire che si tardò un poco a dar avviso della nascita a quelli che stavano fuor della camera per notar l’hora. Et il sopradetto pericolo mi par assai notabile per poter rettificare la natività, non essendocene fin hora occorso alcun altro. Con questa occasione ricordo a V. S. il mio solito desiderio di servirla, et le bacio la mano.
Da Fior.za, alli 18 di Dicembre 1608
Di V. S. molto Ill.re
Aff.mo Serv.re Curzio Picchena[1].
Non sappiamo, oltre alle poche notizie date dal padre di Caterina, cosa Brenzoni avesse scritto riguardo la vita futura della “figliuolina”, ma certo non ne ebbe una tranquilla.
Sappiamo infatti che Caterina Picchèna (1608-1659), probabilmente nata sotto il Segno dell’Acquario stando alla lettera del padre, ebbe una vita «licenziosa e dissoluta». Le cronache ce la dipingono bellissima, invidiata dalle donne e desiderata dagli uomini. A 15 anni venne violentata dal suo educatore, un prete, e rimase incinta. Venne così fatta sposare al marchese Lorenzo Buondelmonti (1602-1640) che da tempo era malato di tisi e al quale però dette un erede. Ebbe un amante, un paggio alle dipendenze del cardinale Carlo de’ Medici, fratello del granduca, dal quale ebbe un figlio che venne fatto passare per figlio del marito. Rimasta vedova volle sposare il suo paggio ma questi la tradì. Allora lei lo fece uccidere da uno spadaccino francese del quale si era invaghita e che cercò anche di sposare, ma questi le rubò dei soldi e scappò. Ricercata dal cardinale per l’omicidio del paggio fuggì in Francia e si sposò con il pescatore che l’aveva aiutata, via mare, ad arrivare in territorio francese. Dopo qualche tempo, pensando che la situazione si fosse normalizzata, rientrò in Italia ma venne catturata, accusata di libidine e omicidio e rinchiusa nel maschio di Volterra dove morì a soli 50 anni.
Sulla sua storia lo scrittore livornese Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873) scrisse il racconto La figlia di Curzio Picchena, che venne edito a Milano per i tipi di Sonzogno nel 1874.
[1] Lettera di Curzio Picchèna a Galileo Galilei in Padova scritta da Firenze il 18 dicembre 1608, in: ANTONIO FAVARO (a cura di), Le Opere di Galileo Galilei. Edizione nazionale sotto gli auspici di Sua Maestà il Re d’Italia, Volume X, Carteggio anni 1574-1610, n. 201, p. 224, Tipografia Barbèra, Firenze 1890-1909 (digitalizzata in